
Un dipendente ha utilizzato il veicolo aziendale durante l’orario di servizio per scopi personali, riducendo fraudolentemente il tempo effettivo di lavoro e creando un’apparenza ingannevole di attività lavorativa. Questo comportamento è stato documentato in diverse occasioni attraverso un’agenzia investigativa incaricata dall’azienda, che ha quindi deciso di licenziarlo. Il lavoratore ha impugnato il provvedimento prima presso il Tribunale e poi in Corte d’Appello, ma entrambe le giurisdizioni hanno confermato la legittimità del licenziamento. A seguito di queste pronunce, ha presentato ricorso in Cassazione.
L’impugnazione
Di fronte alla Suprema Corte, la difesa del dipendente ha contestato la validità delle indagini condotte dall’investigatore privato, sostenendo che il controllo fosse stato svolto in modo occulto e al di fuori del perimetro aziendale, in contrasto con le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori e della normativa sulla protezione dei dati personali.
La decisione della Cassazione
La Corte ha ribadito un principio ormai consolidato sulla legittimità dei controlli difensivi da parte dei datori di lavoro. Queste verifiche, che possono avvenire anche in modo discreto e tramite investigatori privati, sono lecite se finalizzate esclusivamente alla tutela del patrimonio aziendale, senza sconfinare in un monitoraggio dell’attività lavorativa vera e propria (cfr. Cass. 6468/2024, 6174/2019, 4670/2019, 15094/2018, 8373/2018, 10636/2017).
Privacy e normativa sul lavoro
Non si configura una violazione della privacy, poiché il controllo è stato effettuato in luoghi pubblici con l’unico scopo di verificare le motivazioni dell’allontanamento dal servizio. Il trattamento dei dati personali senza consenso è legittimo quando necessario per far valere un diritto in sede giudiziaria.
L’investigatore ha operato nel rispetto della normativa, con un incarico formale, una finalità precisa e un’attività proporzionata agli obiettivi dell’indagine.
Per quanto riguarda lo Statuto dei Lavoratori, il controllo da parte del datore di lavoro è risultato del tutto legittimo, essendo volto a smascherare una condotta sleale o disonesta, non compatibile con gli obblighi contrattuali del dipendente. Quest’ultimo ha falsamente attestato la sua presenza in servizio e ha utilizzato l’auto aziendale per scopi personali, nonostante fosse destinata esclusivamente a fini lavorativi. Tale uso improprio, unito alla retribuzione percepita senza giustificazione, ha arrecato un danno economico all’azienda. La tutela del patrimonio aziendale è un principio fondamentale per ogni buon imprenditore, anche nell’interesse degli altri lavoratori (cfr. Cass. 25765/2024). La necessità di vigilare è ancora più rilevante nei casi in cui l’attività lavorativa si svolge fuori sede, dove il rischio di violazioni è maggiore e può compromettere l’immagine dell’azienda senza che il datore di lavoro ne sia immediatamente consapevole (cfr. Cass. 22051/2024 e 27610/2024).
Il verdetto
Con l’ordinanza n. 3607 del 12 febbraio 2025, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e ha condannato il dipendente al pagamento delle spese processuali, oltre a un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Cosa può fare un’agenzia investigativa?
Attraverso il monitoraggio del dipendente gli investigatori privati possono accertare la realtà dei fatti e provare eventuali inadempimenti, provando il tutto mediante report fotografico e video che potrà essere confermato dall’agente investigativo, tramite testimonianza, in sede di possibile contenzioso.
In particolare, le agenzie investigative agiscono attraverso:
– attività di monitoraggio e di pedinamento del dipendente;
– attività di web intelligence OSINT e SOCMINT per la raccolta di elementi di prova dal web: è spesso lo stesso dipendente a pubblicare online prove delle sue condotte illecite;
– testimonianza in tribunale, per confermare quanto riportato nel Dossier investigativo, se necessario.